venerdì 21 marzo 2014

Intervista a Rebecca e Sofia Domino

Pochi giorni fa, ho presentato due libri, in formato ebook, di due scrittrici emergenti Rebecca e Sofia Domino. I loro due libri, parlano dell'Olocausto e sono usciti entrambi il 27 Gennaio, la Giornata della memoria. Alcuni giorni fa gli ho proposto un intervista e hanno accettato :) Sono molto contenta perchè è stata la mia prima intervista. Ora pubblica le domande e le relative risposte :)



1.  Come mai hai scelto di parlare di questo fatto, come l'Olocausto ancora un tabù ai giorni nostri?

Rebecca: L’Olocausto – il genocidio più famoso di tutti i tempi – è sicuramente un tema che m’interessa da anni. Ho scritto “La mia amica ebrea” per raccontarne un lato di cui si parla sempre troppo poco. Non definirei l’Olocausto propriamente un tabù, almeno in Italia, ma sicuramente non possiamo parlarne mai abbastanza. Generalmente si pensa al' Olocausto solo in occasione di eventi specifici come la Giornata della Memoria, o di particolari iniziative volte a ricordare gli orrori della Shoah. Penso che sia fondamentale che tutti ricordino, e che lo facciano più spesso di una volta l’anno.Non so perché, ma ho una propensione a raccontare vicende conosciute da lati meno noti. Non m’interessa scrivere di argomenti che sono già stati trattati e ritrattati; naturalmente ci sono altri libri che raccontano l’Olocausto da parte degli ariani (sia romanzi sia testimonianze) però sono in numero nettamente inferiore rispetto a quelli che raccontano della sorte degli ebrei, in particolar modo nei campi di concentramento. Ovviamente, è importantissimo ricordare gli ebrei, che furono le vittime principali del nazismo, ma ho voluto scrivere un romanzo che faccia capire alla gente – specialmente ai giovani – che cosa volesse dire vivere e crescere nella Germania nazista. La protagonista de “La mia amica ebrea” è Josepha, una quindicenne di Amburgo che, 
durante il regime di Hitler, ha la fortuna di non essere ebrea, ma ariana. Quindi, a parte le paure e gli orrori della Seconda Guerra Mondiale in corso (che non guardano in faccia nessuno, né ebrei né ariani) non ha particolari problemi, non si é vista portar via i diritti, i cari, non deve nascondersi per sfuggire alla Gestapo, sperando di non essere deportata (come invece succede agli ebrei). È semplice etichettare i tedeschi che hanno vissuto durante la Seconda Guerra Mondiale come i “cattivi” dell’Olocausto; con il mio romanzo ho voluto ricordare coloro che, proprio fra gli ariani, si sono opposti al volere di Hitler aiutando gli ebrei, pur sapendo a cosa stavano andando incontro. Le punizioni, infatti, erano molto severe: essere deportati nei campi di concentramento, proprio come gli ebrei, essere picchiati, uccisi sul posto… eppure, nonostante queste punizioni non fossero certo un mistero, numerosi non – ebrei hanno aiutato gli ebrei durante il nazismo. Quindi sì, ho scritto dell’Olocausto, ho scritto perché si ricordino coloro che hanno rischiato di tutto (spesso perdendo il dono più prezioso che abbiamo, la vita) per seguire la voce della propria coscienza e del proprio cuore. Vivere nella Germania di Hitler significava vivere indottrinati dalle sue parole, schiavi della propaganda. Ragionare con la propria testa era pericoloso e difficile; erano soprattutto i giovani a essere indottrinati, come la protagonista del romanzo. Se si parla spesso – com’é giusto che sia – del dolore, della morte e degli orrori della Seconda Guerra Mondiale e del nazismo, con il mio romanzo ho voluto ricordare anche la nobiltà d’animo, la bontà, la compassione e lo spirito di sacrificio che, anche nelle più grandi tragedie, caratterizzano la razza umana.

  Sofia: Voglio dare una voce a chi non ne ha una, e ho sempre voluto parlare del tema della Shoah. Sin da bambina ho letto libri in merito, guardato film e documentari e non sono riuscita a rimanere indifferente di fronte alla ferocia del nazismo. Per un anno ho vissuto a Londra e ho avuto l’occasione di visitare il Museo Imperiale della Guerra, che dedica un’ala all’Olocausto. Ho visto le “famose” casacche a strisce, ho guardato dei filmati, delle immagini, ho letto delle testimonianze, visto delle ricostruzioni e mi sono fermata a lungo davanti a centinaia di scarpe degli internati, gettate a casaccio una sull’altra. È stato davvero toccante. L’occasione di parlare della Shoah, per me, è arrivata con “Quando dal cielo cadevano le stelle”. Credo che nessuno dovrebbe dimenticare tutte quelle persone innocenti – non solo ebree - che sono state uccise nei campi di concentramento e tutti gli innocenti vittime della Seconda Guerra Mondiale. Nel mio libro, ho cercato di rispondere alla domanda; che cosa significava essere ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale? La protagonista è Lia, una ragazza forte, sognatrice e ottimista, che solo perché ebrea, si ritrova costretta a rifugiarsi in numerosi nascondigli. Eppure la vita è là fuori, eppure il mondo la 
sta aspettando, proprio quel mondo dal quale si sente tagliata fuori. Nel mio romanzo, assieme a Lia, conosciamo gli altri personaggi, ci innamoriamo e viviamo degli alti e bassi con la sua famiglia. Speriamo e soffriamo con lei, una ragazzina comune, con la colpa di essere ebrea durante il periodo del nazismo – fascismo. Il 16 ottobre 1943 la Gestapo rastrella il ghetto ebraico di Roma e Lia e la sua famiglia vengono internati in quello che credevano “solo” essere un campo di lavoro. Come si chiama? Auschwitz. Ci ritroviamo dietro il filo spinato con Lia e il romanzo non si ferma. Ho cercato di far vedere ogni aspetto dei vari campi di concentramento, ogni brutalità, ogni punizione, ogni speranza… Il mio sogno, infatti, è che atrocità simili non siano più ripetute. Inoltre, vorrei anche che i giovani, ma non solo, non dimenticassero tutte quelle persone rinchiuse nei campi di concentramento e tutti coloro che durante la Seconda Guerra Mondiale sono stati uccisi proprio lottando per la vita. Ragazzine come Lia che, dietro il filo spinato, guardavano il cielo, guardavano quelle stelle che, ad Auschwitz, cadevano ancora dal cielo fermandosi sulle casacche dei vari prigionieri.

2. Da che cosa o da chi hai preso ispirazione per la tua storia?

 Rebecca: Per scrivere il mio romanzo ho svolto numerose ricerche per capire com’era la vita durante la Seconda Guerra Mondiale in Germania e in particolare ad Amburgo, città in cui è ambientata la vicenda. Allo stesso tempo, ho letto tante testimonianze in prima persona sia in merito a coloro che aiutarono gli ebrei durante il nazismo sia riguardo alla vita quotidiana. Preziosissima é stata la testimonianza di una donna che era una ragazzina nel 1943 e che abitava proprio a Wandsbek, quartiere d’Amburgo in cui ho scelto di far risiedere Josepha e la sua famiglia. Un romanzo del genere necessita di una serie d’informazioni storiche che io devo conoscere molto bene per poter muovere i personaggi il meglio possibile; allo stesso modo, non mi sono ispirata a 
una persona in particolare per la creazione dei personaggi stessi o della storia. Naturalmente, si tratta pur sempre di un romanzo e non ha certo la pretesa di essere un saggio storico: la Storia fa da sottofondo alle storie personali di Josepha, Rina e degli altri personaggi, come succede quotidianamente nella vita vera. Ho buttato me stessa in questo romanzo, ma solo come tramite per le voci dei personaggi. Non ci sono persone reali da cui ho tratto ispirazione, ma personaggi che spero appaiano reali e che vogliono raccontare le loro storie.

 Sofia: Prima di scrivere “Quando dal cielo cadevano le stelle” ho svolto numerose ricerche e ho raccolto altrettante testimonianze. Ho parlato anche con gli anziani del mio paese, che mi hanno permesso di fare un tuffo nel passato, parlandomi della guerra. Ma poiché il mio romanzo è ambientato a Roma, ho dovuto ampliare le mie ricerche e, naturalmente, ho letto numerose testimonianze e poesie di persone rinchiuse nei campi di concentramento. Non c’è un’unica persona che ha ispirato la mia storia, ma a farlo sono stati tutti coloro che hanno affrontato la Seconda Guerra Mondale e tutti quegli ebrei che hanno perso la vita durante il nazismo, che sono stati costretti a rifugiarsi, che sono stati catturati, trattati peggio di bestie, che hanno perduto la loro dignità, la loro famiglia e la libertà. Che hanno perduto il loro nome e che sono stati definiti da un numero. Raccogliendo testimonianze, inoltre, mi sono imbattuta varie volte in testi che parlavano della liberazione dei vari campi di concentramento. Ogni volta, i prigionieri sfiniti, increduli e contenti al tempo stesso, avevano un’unica richiesta e, commossi, chiedevano ai vari liberatori di non dimenticare. Gran parte dei prigionieri, nonostante la liberazione, sapeva che non ce 
l’avrebbe comunque fatta a vivere, e il loro ultimo sogno era semplicemente quello di fare in modo che la gente non dimenticasse, che si parlasse dei vari campi di concentramento, della guerra, del nazismo… questo era il loro unico sogno, la loro speranza affinché tali atrocità non fossero ripetute. In qualche modo, dopo aver letto quelle testimonianze e adesso che sto promuovendo “Quando dal cielo cadevano le stelle”, mi sento un po’ responsabile per loro, per i loro sogni.

3. Pensi che il tuo romanzo possa superare il famoso diario di Anna Frank?

Rebecca: Onestamente penso di no, e penso anche che non dovrebbe superarlo (in che senso, poi? Di fama? Di qualità?), perché “il diario di Anna Frank” non è solo un libro, non è solo un diario, è un pezzo di Storia scritto da una ragazzina che la Seconda Guerra Mondiale l’ha vissuta sulla propria pelle. Io sono nata nel 1984 e, nonostante mi sia impegnata al massimo per informarmi sui fatti storici per “La mia amica ebrea”, non penso di poter paragonare alcun libro di finzione alle testimonianze delle persone che hanno vissuto davvero la Seconda Guerra Mondiale, specialmente se si tratta di persone come Anna Frank, coraggiose, forti e diverse dalla massa. Inoltre, nel mio romanzo la protagonista è Josepha, una ragazzina ariana, e racconto l’Olocausto dal suo punto di vista, perciò non ci sono molte similitudini fra “La mia amica ebrea” e “il diario di Anna Frank”.

 Sofia: Adoro “Il diario di Anna Frank” e credo che ognuno dovrebbe leggerlo quantomeno una volta nella sua vita. E’ bene dire subito che “Quando dal cielo cadevano le stelle” e “Il diario di Anna Frank” hanno entrambi come protagoniste due ragazzine ebree, solo che “Quando dal cielo cadevano le stelle” è un romanzo mentre “Il diario di Anna Frank” è la testimonianza di una ragazzina ebrea che ha vissuto davvero durante la Seconda Guerra Mondiale. Non mi piace pensare che un libro possa superarne un altro, anche poiché “Il diario di Anna Frank” gode di molta fame e ha tutto il mio rispetto, ma sicuramente penso che “Quando dal cielo cadevano le stelle” e “Il diario di Anna Frank” possano completarsi a vicenda, possano andare 
fianco a fianco, anche per le loro similitudini. In entrambi, appunto, le protagoniste sono due ragazzine ebree, e sia Lia – la protagonista del mio romanzo – sia Anna amano la vita e sperano che la guerra finirà presto. Il loro ottimismo le unisce e, se ne “Il diario di Anna Frank” ci ritroviamo a vivere il nazismo in Olanda, al fianco di Lia invece lo viviamo a Roma, prima che lei sia catturata dalla Gestapo e internata ad Auschwitz con la sua famiglia. È come vedere la guerra da due città diverse.

4. A chi vorresti far leggere il tuo romanzo e perché?

Rebecca: Penso che tutti dovrebbero leggere il mio romanzo per un motivo molto semplice. Racconta dell’Olocausto. E lo fa attraverso il punto di vista di una giovane ariana. Quello della Shoah è un argomento di cui non dovremmo mai smettere di parlare, e presto saranno proprio le testimonianze, i film e i libri sia di narrativa sia di saggistica a fare la parte del leone quando non ci sarà più neanche una persona viva a raccontare la Seconda Guerra Mondiale. Il target per cui ho pensato questo romanzo è quello dei giovani adulti, ma, lo ripeto, penso che tutti possano e debbano leggerlo. Il dover ricordare quello che è successo in un passato non troppo lontano non riguarda certo l’età; non dimenticare quelle barbarie per evitare che si ripetano è un dovere di tutti. Direi quindi che consiglio il mio romanzo a un lettore senza sesso e senza età, a una persona che vuole cercare di capire meglio com’era vivere in Germania durante il nazismo, ed essere ariani. Il mio lettore ideale è quello che, abbandonati i pregiudizi sui tedeschi durante il nazismo, è pronto a tuffarsi in un romanzo che lo porta per mano lungo le vie d’Amburgo e la fredda, incerta quotidianità è raccontata dalla voce di una ragazzina cui hanno insegnato a non pensare con la 
propria testa; una ragazzina che riuscirà a mettere in secondo piano le parole velenose che sente dire da sempre sugli ebrei per ascoltare la voce silenziosa del proprio cuore.  

Sofia: Penso che nessuno, giovane o meno giovane, dovrebbe dimenticare quello che è successo durante la Seconda Guerra Mondiale. Credo che parlare della Shoah sia fondamentale affinché nessuno dimentichi, e mi piacerebbe se ne parlassimo – come stiamo facendo oggi – non solo durante La Giornata della Memoria. È per questo che mi piacerebbe che il mio romanzo fosse letto da giovani e meno giovani. Ho ricevuto recensioni e pareri da persone di ogni età, ma in ogni caso il lettore ha potuto trovare qualcosa per sé in “Quando dal cielo cadevano le stelle”, come solitamente accade con ogni libro. Consiglio il mio romanzo a chiunque, come consiglio a tutti ogni libro che parla dell’Olocausto, ogni filmato, ogni poesia, ogni disegno… Come consiglio a tutti ogni libro che tratta un tema da non dimenticare.

5. Lo consiglieresti per uno studio scolastico? O addirittura un film?

Rebecca: Sì, consiglierei “La mia amica ebrea” per uno studio scolastico perché, come ho accennato prima, mi sono impegnata molto per documentarmi sia dal punto di vista storico sia leggendo le testimonianze delle persone che hanno vissuto la Seconda Guerra Mondiale in Germania, specialmente ad Amburgo. Inoltre, penso che non si parli mai abbastanza degli “eroi silenziosi”: uomini, donne e bambini che hanno rischiato le loro vite per aiutare gli ebrei durante il nazismo. I ragazzi di oggi non possono neanche immaginare che cosa voleva dire vivere durante il nazismo, specialmente in Germania, dove il dominio di Hitler era al massimo della potenza: bastava niente per venire uccisi o deportati, anche se di razza ariana, e aiutare degli ebrei era sicuramente una “colpa” per cui molte persone sono state picchiate, deportate o uccise. Quando si parla di Olocausto, si pensa sempre agli ebrei, alla loro sorte nei campi di concentramento, alle leggi razziali, ed è sicuramente importantissimo ricordarli, ma con il mio romanzo ho cercato di riportare alla luce del sole anche le storie di tutti i non – ebrei che si sono sacrificati, decidendo di seguire la propria coscienza. Nonostante i personaggi del mio romanzo siano frutto della mia fantasia, mi sono ispirata a testimonianze di persone che, in Germania, hanno davvero aiutato gli ebrei sotto il nazismo. È principalmente per questo che vorrei che il mio libro fosse letto nelle scuole: vorrei che i più giovani pensassero all’ Olocausto come a una macchina mostruosa che ha spezzato le vite di milioni di persone, tormentando principalmente gli ebrei, ma che ha anche messo in ginocchio una nazione intera. Vorrei che quel periodo di Storia li spingesse a scavare dentro di sé per ritrovare quella nobiltà d’animo e quella bontà, quella compassione, che anche la razza umana possiede, ma che viene messa sempre più in secondo piano da sentimenti di rabbia, violenza e invidia.
Certamente mi piacerebbe vedere un film tratto dal mio libro anche se, dato che sono realista, sono certa che non succederà mai. Comunque, vorrei sicuramente un lavoro meticoloso, sceglierei un regista con una grande sensibilità d’animo e per i ruoli delle protagoniste sceglierei due ragazzine sconosciute e, oltre a valutare le loro capacità recitative, vorrei anche parlarci e capire se hanno “qualcosa da dire”.

Sofia: Sì, consiglierei “Quando dal cielo cadevano le stelle” per uno studio scolastico e non solo perché ne sono l’autrice. Come ho accennato prima di scrivere il mio romanzo ho raccolto numerose testimonianze e altrettante informazioni, per cercare di non commettere neanche un errore storico – politico. Il romanzo, infatti, è arricchito da delle note a piè di pagina che credo possano aiutare il lettore – come studenti - a capire meglio lo svolgimento di alcuni eventi storici di cui non è a conoscenza. Se mi piacerebbe vedere “Quando dal cielo cadevano le stelle” versione film? Mi rendo conto che si parla di un qualcosa di impossibile e che ci sono già vari film che parlano del nazismo ma, come ho detto poco fa, credo che non ce ne siano mai abbastanza. 
La risposta quindi è sì, mi piacerebbe vedere Lia sullo schermo e portare gli spettatori a vivere con una ragazzina italiana durante la Seconda Guerra Mondiale, la cui colpa era “solo” quella di essere ebrea. Lia sogna, spera, ride, ha paura, s’innamora… e poi, il 16 ottobre 1943, la Gestapo rastrella il ghetto ebraico di Roma. Ogni cosa cambia per sempre. Lia e la sua famiglia vengono catturati, stipati in un carro bestiame e portati ad Auschwitz. Credo sia molto importante che le persone possano vedere – e ricordare – la “vita” in un campo di concentramento.
Sia per lo studio scolastico e il film del mio romanzo, inoltre, credo che sarebbe molto bello se le parole che Lia ama ripetere arrivassero dritte al cuore dei lettori o degli spettatori. Lia, infatti, è una ragazzina molto determinata, che cerca di combattere nonostante la sua prigionia, e non smette mai di ripetere una frase che vuole sempre condividere: “La vita è meravigliosa, non smettiamo mai di amarla".

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